Breve storia

Nel VII secolo Busto Arsizio era poco più che un locus (villaggio) fatto di casupole addossate alla primitiva chiesa di santa Maria e limitato probabilmente ai tre isolati contenuti tra le attuali vie Montebello, Solferino e Cavour; fuori dell'abitato, come era loro consuetudine, i Longobardi costruirono una cappella dedicata al loro santo patrono Giovanni Battista. Il curato Pietro Antonio Crespi Castoldi all'inizio del Seicento scriverà che le fondazioni, venute alla luce nel 1595, delimitavano un umile edificio largo poco più di 8 metri. Qui da Olgiate Olona, dove era il fonte battesimale e la chiesa matrice della Pieve, venivano i sacerdoti per le liturgie dei giorni festivi; ma dal 1212 si ha notizia di un curato stabilmente presente a Busto (il primo è un certo prete Augusto); Busto diventa borgo e la chiesa una vera e propria parrocchiale con fonte battesimale, sepolcri e due altari minori: uno, nell'abside settentrionale, dedicato al Santo Sepolcro (a partire dal 1346 anche a San Giovanni Evangelista), l'altro, in quella meridionale, alla Madonna (poi chiamato Santa Maria dei Restagni, affresco ora conservato in sacrestia); vicino a questo si trovava l’affresco della Madonna con il Bambino  (ora in sacrestia), un notevole esempio di  eleganza 'cortese' dell'inizio del '400. La chiesa, di circa 16 metri per 30, ha la tipica struttura basilicale romanica, orientata secondo la consuetudine con la facciata ad occidente e le tre absidi semicircolari ad oriente, tre navate separate da colonne e coperte con capriate e soffitti di legno (ci fornisce un'immagine del suo aspetto la chiesa di San Vittore ad Arsago Seprio, molto simile per forma e dimensioni). Nel 1466-70 viene aggiunta, tra la navata destra ed il campanile, la cappella dei Santi Ambrogio e Grato, di forma semicircolare, in cui si trovava la Deposizione, oggi nella sala prepositurale, una tempera su seta (paliotto d'altare o predella di un polittico) che raffigura, con riferimenti colti e preziosismi raffinati, ma anche con impostazioni sommarie e cadute popolaresche, Cristo morto, le quattro Marie, Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo e l'evangelista Giovanni; poco dopo viene costruita la simmetrica cappella dei Santi Sebastiano e Bernardino. i A questa fase costruttiva corrispondono la pianta e la descrizione (1580 circa) dell'Archivio Storico Diocesano, dove sono indicati anche i due cimiteri ad ovest e a sud, l'orto ad est, le due sacrestie e le case parrocchiali a nord.

Il trasferimento della Pieve da Olgiate (1583) determina una ulteriore serie di lavori: ampliamento dell'abside centrale per ospitare i seggi dei canonici (1582), sostituzione del fonte battesimale (1594), dotazione di un nuovo tabernacolo di legno dorato (1594-97), costruzione dell'abitazione del custode e della nuova sacrestia a sud della chiesa (1599). Ma dopo soli 10 anni tutto verrà demolito. La facciata romanica della Chiesa di San Giovanni é visibile sulla tavola secentesca custodita presso il Museo di Arte Sacra della chiesa di San Michele. L'anonimo autore ha voluto rappresentare i tre edifici sacri del borgo di Busto Arsizio che racchiuso dalla cinta difensiva nella quale si apre la porta di Pessina. Sulla destra  è visibile la facciata ancora romanica di San Giovanni (il campanile é spostato a sinistra della chiesa) cui fa da contrappunto, sulla sinistra, quella somigliantissima di San Michele. Nel centro del borgo è effigiata la chiesa di Santa Maria prima dell'elegante intervento su disegno dell'architetto Rodari; le dimensioni del Santuario, così enfatizzate, esprimono la centralità del culto alla Vergine per le nostre popolazioni.

La radicale riforma della diocesi ambrosiana promossa da San Carlo interessò non solo l'ambito spirituale e giuridico, ma anche quello delle strutture edilizie. In tale fervore di rinnovamento i bustocchi, su pressione del cardinale arcivescovo Federigo Borromeo, si convinsero, non senza qualche resistenza, ad intraprendere la ricostruzione della chiesa di San Giovanni, un'impresa grandiosa per una popolazione di 3000 abitanti, che durante i lavori sarà dimezzata dalla peste, stremata dalla carestia, gravata dalle ingenti spese militari.

Del progetto fu incaricato Francesco Maria Ricchino (o Richini, 1584-1658), architetto di fiducia del Cardinal Federico Borromeo, massimo esponente di quell’architettura lombarda  del 600 così austera, classica, concreta, priva di ridondanze barocche, che si esprime con un linguaggio comprensibile al popolo e rappresenta la fine della civiltà estetica' colta ed intellettuale che si era sviluppata nelle Corti rinascimentali.

I trattatisti dell'epoca (tra i quali gli stessi Borromeo, San Carlo e Federigo) identificano la bellezza con l'oggetti vita, la verità con la funzionalità e attribuiscono alle arti figurative un'importante funzione di comunicazione sociale, perché la quasi totalità della popolazione è analfabeta e può essere istruita tramite le immagini, (docere attraverso il delectare).

La_semplificazione e volgarizzazione del linguaggio non derivano da ritardo culturale o arretratezza della provincia (i grandi protagonisti del barocco romano, i Fontana (Domenico e Carlo), il Maderno, il Borromini, i Longhi, i Della Porta, provengono tutti dall'area culturale lombarda), ma da scelte consapevoli; questa assoluta originalità del barocco lombardo porterà il grande storico dell'arte Rudolf Wittkower ad affermare: "L'opera del Ricchino è infinitamente più interessante che la maggior parte di quanto Roma aveva da offrire". Posata la prima pietra il 26 maggio 1609, il capomastro Domenico Tapella di Lonate Pozzolo comincia la costruzione dall'angolo di sudest (sacrestia e cappella di Sant'Ambrogio); nel 1610 si demoliscono le vecchie absidi, conservando tuttavia per altri sei anni, all'interno del nuovo edificio, la parte rimanente della vecchia chiesa, che viene ancora utilizzata per le celebrazioni liturgiche; nel 1614 si completano il presbiterio, il coro, il transetto con le sue quattro cappelle; dal 1615 si lavora al tamburo della cupola, alle navate, alle cappelle del transetto minore, dal 1616 all'ordine inferiore della facciata.

Il 24 giugno 1614, festa della natività del Battista, il prevosto Giovanni Antonio Armiraglio celebrò la prima messa nella nuova chiesa in costruzione. Difficoltà economiche, guerre e la peste del 1630 provocano una lunga interruzione dei lavori (una scritta sopra il cornicione della navata centrale ricorda: bello, peste, fame 1631); solo nel 1634-35 si pone in opera il finestrone della facciata e si completa la cupola.

Il 29 luglio 1646, con la consacrazione da parte del vescovo di Bobbio, Francesco Maria Abbiati, si conclude un'impresa che per quasi quarant'anni ha impegnato tutta la comunità. L'edificio, per quanto incompleto nella parte superiore della facciata, ostenta tutta la sua imponenza e monumentalità, misura 20,50 metri di larghezza, 53,50 di lunghezza, raggiunge 15 di altezza con la volta centrale, 35 con la lanterna della cupola, ed emerge con la sua mole dalla coltre dei tetti delle case a significare la centralità della presenza religiosa nella comunità: la casa di Dio tra le case degli uomini.

I fianchi e l' abside (liberata nel 1950 dagli edifici fatiscenti che vi erano addossati) rivelano la complessità dell'impianto, la robusta aggregazione dei volumi, il rigore formale, libero da ogni inutile decorativismo, che sono le caratteristiche peculiari dell'architettura richiniana.

Di grande interesse i finestroni dei transetti (quello di nord rimasto incompiuto) e una finestra del transetto destro, nascosta alla vista dal campanile, l'unica delle finestre minori che è stata completata, con frontone triangolare, mensole e la tipica conchiglia di pietra; le altre sono rimaste tutte incompiute, con semplici cornici di pietra o fasce di intonaco.

In San Giovanni il Ricchino diede una soluzione intelligente ad un problema complesso: l'ampliamento rispetto alla chiesa da demolire non poteva che avvenire in lunghezza, occupando le aree del cimitero davanti alla facciata e dell'orto dietro le absidi, in quanto la larghezza era determinata dalla presenza delle case parrocchiali a nord e del campanile a sud (i campanili erano ; costruzioni molto impegnative e costose, raramente venivano ricostruiti; per questo i campanili delle nostre chiese sono quasi sempre più antichi delle chiese stesse); ma un eccessivo allungamento dell'edificio contrastava con le concezioni architettoniche del Ricchino, che progettò quasi sempre chiese a pianta centrale, circolari, ottagonali, croce greca (cioè con bracci uguali), nell'ambito di una tradizione tipicamente lombarda che risaliva all'architettura romana imperiale e che era stata mantenuta viva attraverso tutto il Medioevo ed il Rinascimento; ed ecco l'originalissima soluzione (unico esempio noto) del secondo transetto (a metà della navata, oltre quello principale in corrispondenza della cupola) che, interrompendo lo sviluppo longitudinale, trasforma l'impianto della chiesa in una specie di doppia croce greca: riemerge la tesi quasi ossessiva della pianta centrale, con tutte le implicazioni simboliche e formali che per secoli i trattatisti avevano teorizzato, che a Busto possiamo vedere compiutamente realizzata nella chiesa di santa Maria, precedente di un secolo, e che sarà ancora adottata successivamente nella parte seicentesca di San Gregorio, in Sant'Anna, in San Rocco e nella trasformazione bellottiana della Madonna in Prato. Lo spazio interno che ne risulta, scandito da piloni ionici e da colonne tuscaniche, è grandioso e solenne, ricco di suggestioni luministiche: si realizza puntualmente lo spirito delle norme dettate da San Carlo, che esplicitamente richiedevano un interno sontuoso in contrasto con la semplicità dell'estemo, rappresentazione simbolica della ricchezza interiore dell'anima che nel rapporto col mondo esterno si fregia invece del motto del Borromeo: humilitas.