Miti e Supplizi
Miti e supplizi nel linguaggio della vita quotidiana (da Internet rielaborato con link)
C'è chi ha un avatar e chi ha ancora l'Edipo. Chi è una Valchiria e chi un'Amazzone. Chi fa il Cerbero, chi si crede un Adone e chi si sente tra Scilla e Cariddi. Ci sono lo sguardo di Medusa, il cavallo di Troia ma anche il filo di Arianna, utile se un certo impiccio è peggio di un Labirinto. E se la vostra ragazza ha la cintura di Venere, vi abbandonate tranquilli tra le braccia di Morfeo o dormite su un letto di Procuste? Meglio un amico ermetico o enigmatico (enigma) come la Sfinge? E, potendo scegliere, siete per il supplizio di Tantalo, di Prometeo o di Sisifo? Avete mai fatto caso a quanto fittamente il mito sia intrecciato alla vita quotidiana? Nell'arte, nei libri, nei film, nelle canzoni, nei fumetti, nelle pubblicità, nei prodotti di marca, ma soprattutto nel nostro linguaggio e nel nostro immaginario. Diceva Platone (che di miti ne sapeva qualcosa) che conoscere è ricordare.
Nascita di Afrodite Matrimonio con Efesto Afrodite e Psiche Afrodite e Adone Il giudizio di Paride Pigmalione e Galatea
Altre storie di Venere
… morte di Ippolito … morte di Glauco figlio di Sisifo … Afrodite e le Grazie … Afrodite e Momo … Afrodite e Paride
… Afrodite ed Enea … Afrodite e Anassarete … Afrodite e Ippomene
… Afrodite e Kamaraton
Narra una leggenda che Palinuro, nocchiero di Enea, s'innamorò di una bellissima giovane, Kamaraton, solo che lei rifiutò il suo amore. Disperato Palinuro si getto in mare, proprio dove ora sorge l'omonimo paese in provincia di Salerno. Afrodite, vedendo tale rifiuto, si dispiacque e trasformò per punizione la giovane Kamaraton in una roccia, proprio dove sorge ora la cittadina di Camerota, a 10 km da Palinuro, in modo così da farli stare vicini per sempre.
Il supplizio di Sisifo (o della condanna dell’uomo al lavoro)
Mentre Sisifo cercava di risolvere il problema dell'acqua, che a Corinto era molto scarsa, si ritrovò nei pressi della rocca di Corinto, dove vide Zeus con una bella ninfa. Questa era Egina, figlia del dio fluviale Asopo, che Zeus aveva rapito.
Il dio Asopo si presentò allora a Sisifo nelle sembianze di un vecchio, e gli chiese notizie di sua figlia. Sisifo disse che l'aveva vista, ma non rivelò subito chi l'aveva rapita: chiese, in cambio dell'informazione, una fonte d'acqua per la sua città. Asopo promise che gli avrebbe dato la fonte, così Sisifo rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus. Soddisfatto, Asopo fece dono al re della sorgente perenne detta Pirene.
Quando Zeus venne a sapere che Sisifo aveva parlato, chiese a suo fratello Ade di mandare Tanato per catturare Sisifo e rinchiuderlo nel Tartaro. Quando Tanato giunse a casa di Sisifo, questi lo fece ubriacare e lo legò con catene, imprigionandolo. Con Tanato incatenato, la morte scomparve dal mondo. Il dio Ares, quando si accorse che durante le battaglie non moriva più nessuno, e che quindi non avevano più senso, si mosse per prendere Sisifo e, liberato Tanato, lo condussero nel Tartaro.
Sisifo, tuttavia, aveva imposto alla moglie Merope di non seppellire il suo corpo, per cui egli ebbe motivo per protestare con gli dei dell'empietà della moglie. Persefone, moglie di Ade, decise di farlo ritornare sulla Terra per tre giorni, il tempo di imporre alla moglie i riti funebri. Sisifo tornò nel mondo dei vivi, ma non obbligò la moglie a seppellirlo: così gli dei inviarono Hermes, che lo catturò e lo riportò negli Inferi. Altre versioni riferiscono che Sisifo avesse ricevuto la possibilità di ritornare nel mondo dei vivi non da Persefone bensì da Ade stesso, a patto però di tornare entro un giorno; come nell'altra versione del mito, Sisifo non tiene fede al patto sancito con la divintà degli inferi e rimane nel mondo dei viventi. La morte però in questo caso sopraggiunge naturalmente e non è affatto menzionato Hermes.
Come punizione per la sagacia dell'uomo che aveva osato sfidare gli dei, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte. Tuttavia, ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte. Ogni volta, e per l'eternità, Sisifo avrebbe dovuto ricominciare da capo la sua scalata.
« Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dèi e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice. » (Albert Camus Il mito di Sisifo, cit., p.121 )
Il mito di Sisifo ha creato l'espressione fatica di Sisifo, che indica l'operosità vana, ovvero quei lavori che comportano una grande fatica e scarsi risultati.
Il lavoro come attività vana, priva di senso
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Il supplizio di Tantalo (o la condanna dell’uomo a vivere in un mondo meraviglioso dove però tutto è a portata di mano ma non usufruibile)
Patisce il "Supplizio di Tantalo" chi desidera ardentemente una cosa, ce l'ha a portata di mano, ma non può toccarla, né tanto meno possederla. Proprio questo, infatti, capitò al potente re Tantalo, castigato dagli dei ad eterna fame e sete nell'Averno.
La pena divenne supplizio poiché il malcapitato sovrano fu immerso in un lago di limpide acque, che però si ritiravano non appena faceva l'atto di bere. Allo stesso tempo, sul suo capo pendevano rami carichi di frutti splenditi, i più gustosi e succulenti, che si ritraevano non appena stendeva la mano per coglierli.
Il supplizio di Prometeo
(o della condanna dell’uomo a mangiarsi il fegato se vuole rubare il fuoco, la conoscenza, agli dei per portarlo agli uomini)
Nella mitologia greca, uno dei titani, figlio del titano Giapeto e della ninfa Climene, o della titanide Temi. Prometeo e suo fratello Epimeteo ebbero il compito di creare gli esseri umani e gli animali, conferendo loro le doti necessarie per sopravvivere. Epimeteo procedette di conseguenza, concedendo agli animali i doni del coraggio e della forza, insieme a piume, pellicce e altri rivestimenti protettivi. Quando venne il momento di creare un essere superiore a tutte le altre creature viventi, Epimeteo scoprì di non avere più nulla da donargli. Fu costretto a chiedere aiuto al fratello, e Prometeo lo sostituì nel compito della creazione. Per rendere gli uomini superiori agli animali, egli li plasmò più nobilmente e li abilitò a camminare eretti, poi salì in cielo e accese dal sole una torcia infuocata: il dono del fuoco che elargì all'umanità era più prezioso di tutti i doni ricevuti dagli animali.
Prometeo incorse però nell'ira di Zeus, non solo per aver rubato il fuoco per donarlo agli uomini, ma anche per aver ingannato gli dei. Infatti, ucciso un bue, egli sistemò le carni disossate della bestia entro una pelle, nascondendole con una copertura di interiora; in un altro mucchio raccolse le ossa e le ricoprì di grasso. Invitato a scegliere, Zeus preferì il grasso e si adirò molto scoprendo che rivestiva solo un mucchio d'ossa: da allora, solo ossa e grasso vennero sacrificati agli dei, mentre la carne restava ai mortali. Per le sue trasgressioni, Zeus fece incatenare Prometeo a una roccia del Caucaso: ogni giorno un'aquila gli divorava il fegato, che di notte, essendo egli immortale, ricresceva. Alla fine l'eroe Eracle uccise l'aquila e lo liberò dal supplizio.
Altri supplizi
Antiope, figlia di Nitteo re di Tebe, viene amata per la sua straordinaria bellezza da Zeus, che la avvicina sotto forma di satiro. La fanciulla, per tenere nascosta la gravidanza al padre, fugge a Sicione, dove sposa il re. Ma Nitteo muove una guerra al re di Sicione, rimanendone ucciso; sarà il fratello Lico a vendicarlo, abbattendo il re nemico. Antiope, gravida, viene riportata a Tebe dallo zio Lico e dalla moglie di lui, Dirce. Durante il viaggio nascono due gemelli, Anfione e Zeto, ma la madre viene costretta ad abbandonarli sul monte Citerone: i neonati saranno raccolti e allevati da un pastore. Da quel momento Antiope viene tenuta prigioniera da Lico e da Dirce che, gelosa della fanciulla, incomincia subito a perseguitarla, sottoponendola a immani sofferenze e arrivando a farla murare viva. Fuggita fortunosamente dalla sua prigione, Antiope giunge nella capanna dove vivevano i figli: chiede ospitalità, ma le viene negata. E' qui che, in occasione di una festa dionisiaca, la scopre Dirce, seguace del dio. La regina ordina ad Anfione e Zeto di uccidere Antiope legandola ad un toro, e solo l'improvviso arrivo del pastore permette di riconoscere ai gemelli nella donna la loro vera madre. I due giovani allora decidono di infliggere a Dirce lo stesso terribile supplizio che questa aveva progettato per Antiope, legandola per i capelli alle corna del toro che ne fa rapidamente scempio. E' poi lo stesso Dioniso che getta i miseri resti della donna nella fonte di Tebe che da lei prende il nome. Dopo la morte dello zio Lico, il dominio di Tebe passa ai gemelli, per iniziativa dei quali la città viene fortificata con le note mura dalle sette porte. Il momento della punizione è immortalato nel monumentale gruppo scultoreo noto attraverso la copia marmorea del "toro farnese". La grande pateticità del soggetto e il messaggio universale che porta con sé colpiscono l'immaginario degli artisti di Rodi, che scelgono il tema per realizzare una delle più maestose fontane dell'isola. E' una copia marmorea di un originale bronzeo della fine del III secolo a.C., proveniente dalle terme di Caracalla. Le figure, mosse da violente torsioni, si iscrivono in uno schema geometrico piramidale.
Erodoto riportava la credenza che gli dei fossero invidiosi e non
andassero provocati dagli umani.
Un esempio è certamente il "Mito di Marsia". Costui era un satiro nato
nella Frigia che aveva osato sfidare Apollo, dio della musica, in una gara con
il flauto. Quest'ultimo, naturalmente, vinse la competizione e la sua
superiorità fu ribadita con una pena terribile. Marsia venne scuoiato vivo e la
sua pelle appesa in una caverna. Nella pittura e nella scultura antica e
contemporanea un soggetto molto utilizzato per i suoi significati più reconditi.
Significati
… come nel più profondo significato della leggenda di Marsia il tormento conduce infine alla nuda verità, e come nella leggenda cristiana il sacrificio genera redenzione” (Freedberg, 1986).
… Gesù, il Dio cristiano, è appeso ad un legno, come Marsia appeso ad un albero
.Nel quadro del Tiziano, il pensieroso Re Mida, probabile autoritratto di Tiziano, sembra meditare sul destino impietoso del satiro (e, per estensione, dell' uomo) vittima del capriccio della divinità.
Satiro (o sileno della Frigia, spesso associato ai personaggi del corteggio di Cibele), famoso suonatore di flauto che a quanto pare suonava lo stesso flauto inventato da Atena e che la dea buttò via quando si accorse che suonandolo gli venivano le guance gonfie e modo grottesco. Marsia suonava così bene che tutti dicevano che neanche Apollo con la sua lira avrebbe potuto suonare di meglio. Il dio risentito e offeso in quello che era la sua arte sfida (Ovidio, Metamorfosi VI, 382 ss.) il povero Marsia in una gara musicale dove il vincitore avrebbe potuto punire il vinto nel modo che più gli gradiva. Il satiro ingenuamente accettò la sfida e come era presumibile considerato che a giudicare erano le Muse, che erano legate ad Apollo, Marsia perse. Apollo ancora offeso lo legò ad un albero e lo scorticò.