La piazza: il teatro della scena quotidiana.

 

“…la statua sulla piazza – dice Giorgio De Chirico – ha sempre un aspetto eccezionale perché ha forma umana, e al tempo stesso è immobile, marmorea, perenne.”

 

La piazza è lo spazio privilegiato della città, il luogo dell’incontro e dello scambio, dove cultura e storia, simboli e tradizioni, rivivono quotidianamente in una forma armonica la cui essenza è possibile rintracciare nell’idea aristotelica di sicurezza e di felicità che una città deve saper offrire ai suoi abitanti.

Le indicazioni dei piani regolatori, i modelli matematici, la meticolosa adesione ai dettami della normativa urbanistica, non sono in grado di interpretare l’armonia dei luoghi, né di fornire in termini qualitativi, una risposta concreta alla domanda reale di spazi vivibili, funzionali e belli.

Per troppo tempo il degrado di Piazza Vittorio Emanuele e di molti altri vuoti urbani ha coinciso con il frenetico sviluppo del resto della città. Il più recente passato, in nome dell’equivoca dizione di arredo urbano ha visto la pervasiva e incontrollata collocazione nelle strade e nelle piazze di oggetti difficilmente ascrivibili a qualsiasi categoria.

Le piazze per tradizione appaiono così : protette e appartate, circondate da edifici importanti, perimetrate da portici che permettono un riparo ombroso d’estate ed una protezione dal vento d’inverno. Sono palcoscenici sui quali avviene la rappresentazione della collettività e del potere cittadino. Sono teatri aperti, senza interruzione, concepiti per accogliere la folla delle feste, dei mercati, delle celebrazioni religiose.

Occorre tener presente – scrive Leon Battista Alberti nel suo De Re Aedificatoriache una città non è destinata solo ad uso di abitazione; deve bensì esser tale che in essa siano riservati spazi piacevolissimi e ambienti sia per le funzioni civiche sia per le ore di svago in piazza …, nei giardini, a passeggio. “ quindi è la scala umana a fissare i rapporti proporzionali della piazza ideale. L’ Alberti continua “…nella casa l’atrio, la sala e gli ambienti consimili devono essere fatti allo stesso modo, che in una città la piazza e i grandi viali: non già, cioè, in posizioni marginali, recondita o angusta, ma in un luogo visibile e tale da essere raggiunto nel modo più diretto dalle altri parti dell’edificio.” ; così Camillo Sitte ne L’arte di edificare le città: “ … la piazza sta alla città come l’atrio sta alla dimora della famiglia, è la stanza più importante e riccamente ammobiliata…”

Cosa, allora, ha portato alla riduzione del potere rappresentativo della piazza, sino a renderla, nella maggior parte dei casi, elemento della sola toponomastica e/o addirittura la piazza-parcheggio ?

Troppo spesso vediamo che le nuove piazze, o gli interventi su luoghi già esistenti, nascono dall’intersezione di figure regolari, dalla riga o tutt’al più dal compasso, dal senso astratto dell’ordine e della gerarchia sociale, appaiono sin troppo vuote, incapaci di favorire gli eventi, mute di fronte al ricordo e alla memoria, troppo buie, troppo assolate, troppo spesso deserte.

Guardando ad alcuni progetti ci siamo trovati spesso di fronte alla celebrazione, quanto mai retorica, spesso assai distante dall’idea di piazza. Si è abusato del simbolo, del mito, della letteratura per generare oggetti lontani da qualsiasi realtà. Molto spesso i progetti parlano solo a se stessi in un patetico soliloquio e inducono sforzi mentali per riconoscersi. Tagli nel terreno, labirinti di alberi che si collocano come ostacoli al cammino, alle naturali visioni prospettiche. Il senso di solitudine invade chi guarda ciò che è guardato. Uno smarrimento, una perdita di memoria, inquietudine e isolamento. È il moto vitale e dinamico delle persone e definire e ordinare lo spazio e quindi gli stessi elementi architettonici è la profondità abitata  di cui parla spesso Giorgio De Chirico che le rappresentazioni delle piazze, nella maggior parte dei progetti, non riesce a rivelare.

 

Architetti: andrea pellegatta e daniele geltrudi