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Arteterapia: curarsi con l’arte
Nell’antica Grecia c’era Socrate, oggi ci sono
gli arteterapeuti. Gli scopi cambiano, i metodi anche, ma si tratta
sempre di maieutica. Si tratta sempre di mettere in grado l’allievo,
in questo caso il paziente, di acquisire una chiara coscienza di sé
e dei propri pensieri.
Sì, perché tramite l’arteterapia
i pazienti esternano le loro emozioni più profonde ed inconsce.

L’arte di celebri pittori, scultori o fotografi oltre
a essere conosciuta dalla maggior parte
di noi è, come risaputo, portatrice di messaggi, più o meno
evidenti, che suscitano emozioni in estimatori di tutti i tempi.
Molti maestri, tra cui Van Gogh, Picasso e Paul Klee, hanno
sottolineato che l’arte è una proiezione
del proprio io più profondo e questo vale anche per gli ‘artisti in
erba’.
Lo scopo dell’arteterapia, badate bene, non è quello di insegnare
una certa forma d’arte, bensì proprio quello di aiutare l’individuo
a esprimere le proprie emozioni e angosce più profonde e raggiungere
la serenità praticando il disegno, la danza, la pittura...
L’attività creativa favorisce
un allargamento di vedute che porta all’individuazione di soluzioni
per le proprie angosce. Dopo aver trasferito le proprie sensazioni
in un qualsiasi oggetto artistico il paziente è
infatti in grado di raggiungere una comprensione più profonda
di sé, perché il soggetto vede le proprie emozioni dal di fuori e
può valutarle meglio.
La riuscita estetica dell’opera non ha alcune
importanza: quel che si vuole ottenere è un rapporto migliore
tra il corpo e la mente, una ricostruzione dell’identità e
dell’equilibrio dell’individuo.
Spesso si tratta di un vero e
proprio ritorno all’infanzia: i bambini esprimono i loro sentimenti
con semplicità e senza paura. L’arteterapia cerca proprio di
recuperare queste caratteristiche del bambino negli adulti, che di
solito le hanno perse con l’inizio dell’adolescenza.
L’arteterapia fu utilizzata per la prima volta nel secondo
dopoguerra: i corsi
venivano tenuti a livello informale in
alcuni ospedali ed erano presieduti da artisti. Il fine era quello
di aiutare i sopravvissuti a superare i traumi subiti. Ben presto,
però, medici e psicoterapeuti si accorsero dell’importanza di questa
pratica che aiutava il soggetto a
esprimersi liberamente affrontando così emozioni e conflitti
inconsapevoli, altrimenti inesprimibili, e aiutava al contempo il
terapeuta a comprendere più profondamente il paziente. Da allora
questa tecnica si è diffusa, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna, ed è stata applicata in vari campi.

Tavolozza
Oltre
a essere un efficace mezzo per aiutare le
persone a sviluppare la loro creatività affinché si possano
esprimere in modo libero e non più condizionato, l’arteterapia è
un’ottima forma di prevenzione.
È consigliata
infatti ai bambini che entrano nel periodo adolescenziale,
alle donne che hanno partorito o a quelle in menopausa e a
neopensionati che rischiano di sentirsi inutili e disorientati. Vi
sono però altri ambiti di applicazione,
come ad esempio quello riabilitativo e quello terapeutico.
L’arteterapia può aiutare a ritrovare una maggiore autostima:
chi la pratica riesce più efficacemente a combattere ansia,
depressione e anoressia. L’arteterapia è
utilizzata inoltre in ambito psichiatrico, per il recupero da
dipendenze da droga e da alcool e per gli anziani affetti dal
morbo di Parkinson e Alzheimer. È anche un’attività indicata per i
portatori di handicap in quanto favorisce momenti d’incontro dove ci
si può esprimere riscoprendo le proprie capacità.
Le sedute di
arteterapia necessitano di un’atmosfera tranquilla e piacevole,
perciò lo studio del terapeuta deve essere innanzitutto luminoso e
possibilmente con un caldo pavimento in legno. La stanza, poi,
dovrebbe essere ricca di stimoli come fogli di carta, matite, creta,
strumenti musicali, oppure quasi vuota
per lasciare il paziente libero di danzare o ascoltare musica in
tutta tranquillità. Si tratta, insomma, di un luogo in cui deve
essere privilegiata la creatività nelle
sue numerose applicazioni, inducendo un ritorno all’infanzia.
In questo stanza è l’emisfero cerebrale
destro quello da far lavorare, l’emisfero cioè della fantasia, della
creatività, dei segni corporei, dell’intuizione: tutte inclinazioni
che possediamo, ma che purtroppo utilizziamo solo raramente.